Carbon credits vs Forestazione

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La concentrazione di anidride carbonica atmosferica va abbattuta. Oggigiorno, questo concetto pare essere ormai sulla bocca di tutti. Io come individuo, come società, come impresa, devo riuscire a limitare le emissioni di CO2. Fa bene a me, fa bene alla mia azienda, fa bene al pianeta. Esiste però un limite di emissioni sotto il quale non si può scendere, un limite naturale, diverso per ognuno. Qualsiasi azione può portare alla produzione di gas serra e di conseguenza inasprire l’andamento del cambiamento climatico, dalla respirazione cellulare al viaggio in macchina o in aereo.

Ma allora come si fa a raggiungere il famoso obiettivo della carbon neutrality? Come posso arrivare ad assorbire dall’atmosfera la stessa quantità (o maggiore, perché no?) di anidride carbonica che emetto?

Ad oggi, due vie sembrano essere le migliori da seguire: acquistare carbon credits o piantumare nuove foreste. Due vie, stesso risultato. Quale è migliore? Cosa conviene di più ad una azienda, comprare crediti di carbonio o creare una foresta? La risposta non è così semplice e immediata. È una questione di prospettiva.

Un credito di carbonio equivale all’assorbimento di una tonnellata di anidride carbonica, certificato dall’ente che lo emette. Questa certificazione viene rilasciata in seguito ad azioni concrete, che sono in grado di generare una riduzione nell’emissione di anidride carbonica nell’ambiente. Le opere in questione sono molteplici, dall’impiego di fonti di energia rinnovabile alla piantumazione di nuove foreste o la loro protezione. In quest’ultimo caso, l’ente certificatore garantisce la protezione di una porzione di una foresta nel mondo. Grazie a questa protezione, la foresta sarà in grado di assorbire una quantità di CO2 durante l’anno, che non avrebbe potuto consumare se fosse stata distrutta, bruciata o in qualche modo danneggiata. Grazie a calcoli basati sulla differenza di assorbimento tra foresta protetta e non protetta, ogni anno vengono prodotti i crediti di carbonio. Si tratta di un calcolo molto complicato, che a seconda di parametri variabili impiegati può produrre una curva di assorbimento di CO2 previsto molto maggiorata rispetto alla realtà (Fig. 1). Di conseguenza, a causa dell’arbitrarietà di questo calcolo, si possono produrre più o meno crediti per la stessa porzione di foresta considerata.

Fig. 1 – Fig. 1. Rappresentazione del funzionamento dei carbon credits basati sulla protezione delle foreste. Fonte: blueskyhq.io

Dunque, come azienda, se emetto in un anno tre tonnellate di CO2, compro tre crediti di carbonio e per quell’anno le mie emissioni nette sono azzerate. L’anno successivo dovrò comprare altri crediti a seconda delle mie emissioni e così via per tutti gli anni a venire. Carbon neutrality raggiunta.

Sono sempre più comuni però notizie che mettono in dubbio l’affidabilità di questo sistema. Risale a poco tempo fa lo scandalo legato a un grosso ente che vende carbon credits, risultati essere di dubbia qualità. L’accusa è quella di avere calcolato una protezione delle foreste (talvolta inesistenti, o di dimensioni minori di quelle indicate) di gran lunga superiore a quella realmente ottenuta, con conseguente emissione di carbon credits. Infatti, pare che solo poco più del 5% dei crediti emessi corrispondano a reali riduzioni di emissione di anidride carbonica. Questo significa che i crediti ci sono, ma quelli veri, quelli affidabili, sono molto rari. Si possono anche trovare in circolazione crediti sicuri, ma magari vecchi di anni. Perché comprare quest’anno una certificazione che mi assicura che dieci anni fa è stata assorbita una tonnellata di CO2? Un’opera di mitigazione avvenuta anni fa ha ormai esaurito il suo beneficio, è davvero ancora utile? Questa incertezza rischia di intaccare o danneggiare la reputazione dell’azienda che compra carbon credits e vanta di aver dimezzato le proprie emissioni o di averle completamente azzerate.

Ecco che allora la seconda via, la piantumazione di nuove foreste, o afforestazione, entra in gioco. Sebbene possa sembrare una via più complessa e lunga (e sicuramente lo è), non significa che essa non sia un’alternativa reale, concreta e soprattutto necessaria. Infatti, se già esistessero al mondo abbastanza foreste tali da poter compensare le emissioni antropologiche di gas che alterano il clima, non ci troveremmo nell’attuale situazione di drastico cambiamento climatico. La creazione di una nuova foresta comporta la produzione di materiale organico, che la pianta ottiene consumando anidride carbonica per mezzo della fotosintesi clorofilliana, rilasciando in atmosfera ossigeno. La CO2 viene quindi stoccata all’interno della pianta, tra radici rami e foglie.

Tra tutte le tipologie di piante e foreste possibili, una grande speranza viene dalla coltivazione di bambù gigante. Si tratta di una pianta che presenta tassi di crescita e di assorbimento di CO2 veramente straordinari e superiori rispetto a molte altre specie. Un grande aiuto per l’uomo e il pianeta nella purificazione dell’aria che respiriamo.

Proprio in questo ambito è nata in Forever Bambù l’iniziativa chiamata Forever ZeroCO2, che consente di investire nella piantumazione di foreste di bambù gigante sul territorio italiano per riuscire ad azzerare la propria carbon footprint. La piantumazione avviene in terreni agricoli abbandonati, ormai sempre più numerosi nel nostro Paese e spesso destinati ad essere ricoperti di cemento. Il metodo impiegato da Forever Bambù nella gestione delle foreste è rispettoso dell’ambiente: le piante già presenti sul terreno non vengono sradicate o bruciate, ma curate e valorizzate per integrarsi nel bambuseto, creando nuove nicchie ecologiche e incrementando la biodiversità locale. Infatti, il bambù gigante è perfettamente in grado di integrarsi con le specie autoctone. Questo, insieme a una coltivazione simbiotica e biologica, rende questa realtà estremamente sostenibile. Grazie alla cura di Forever Bambù, un ettaro di bambuseto è in grado di sequestrare ogni anno fino a 36 volte più CO2 rispetto a un ettaro di una normale foresta mista presente in Italia. In particolare, nell’arco dei 100 anni di vita del bambuseto, una pianta è in grado di assorbire fino a 221 kg di anidride carbonica all’anno, che equivalgono a circa 265 tonnellate annue per ettaro. Questo risultato è stato provato da studi scientifici ed è concreto, ma soprattutto avviene sul territorio italiano ed è facilmente accessibile e verificabile da chi decide di investire in questo progetto.

Il valore dell’anidride carbonica consumata assume valori differenti a seconda di come viene utilizzato il materiale organico (il legname) che viene rimosso regolarmente e strategicamente dal bambuseto, ottimizzando la crescita sana della foresta. Proprio per questo Forever Bambù impiega il materiale in beni duraturi, come la produzione bioplastica o materiali edili, rendendo il sequestro di CO2 durevole e consistente nel tempo.

Quindi qual è il metodo migliore? Acquistare carbon credits o piantumare nuove foreste?

I carbon credits sono efficaci e funzionali, aiutano le aziende a raggiungere in fretta una grossa riduzione di emissioni di anidride carbonica. Il pianeta in questo momento però ci sta chiedendo altro. L’obiettivo a lungo termine non può e non deve essere una semplice compravendita speculativa di carbon credits. Non vogliamo svegliarci tra pochi anni con la temperatura media globale aumentata di 1,5 ℃ e niente di fatto sulla concentrazione di anidride carbonica atmosferica. Servono nuove foreste che siano in grado di sequestrare attivamente grandi quantità di CO2. Devono essere seguite e gestite correttamente. Bisogna investire non più solo nell’acquisto di carbon credits, ma anche e soprattutto nei progetti di generazione di nuove foreste. Dobbiamo fare in modo che l’assorbimento non sia utile solo a noi e al pianeta oggi, ma soprattutto a chi verrà dopo di noi. Proprio questa è la definizione di sviluppo sostenibile e questo è l’obiettivo che Forever Bambù e ForeverZeroCO2 si pongono quotidianamente.

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